Una condanna ingiusta? I contro della pena di morte
Ricordiamo i 226 anni dalla morte di Cesare Beccaria con una questione che riguarda ancora molte aree del mondo odierno: la pena di morte
Molte persone, ogni giorno, vengono uccise per aver commesso degli errori. La maggior parte tra queste si pentono di ciò che hanno fatto. L’uomo ha sempre pensato che fosse giusto condannare l’altro, considerando sbagliate le azioni commesse, reputandosi adatto e obiettivamente capace di poterlo fare. La pena di morte è una delle decisioni giuridiche che ha caratterizzato e che qualifica molte società del mondo: ricordiamo per accidente il Sud Sudan in cui molti sono i condannati a morte per omicidi, negando loro anche di una rappresentanza legale durante il processo.
Ma è davvero giusto pensare di dover uccidere piuttosto che rieducare il responsabile del reato? Le carceri sono state pensate come una possibilità per aiutare l’uomo nella crescita della propria coscienza e nell’educazione mentale, e non a scopo prettamente punitivo. È anche vero che per quanto l’uomo possa essere dotato di ragione, può, in ogni caso, cadere facilmente nell’errore. La legge, si dice, sia l’unico motore di limitazione degli istinti dell’uomo, il quale, se non controllato, potrebbe liberare i suoi istinti e sfiorare la violenza, regredendo verso il suo stato di natura.
È giusto uccidere una persona per aver commesso un errore irrimediabile? Cina, Giappone, India, Bielorussia e USA, per esempio, sono attive per la pena di morte, mostrandosi come aree di piena contrapposizione giuridica e legislativa. La storia dovrebbe insegnarci che gli errori del passato sarebbe meglio evitarli, così da migliorare la contemporaneità. Tuttavia, a quanto pare, giorno dopo giorno, ci mostriamo pronti a restare indifferenti alla sensibilità degli eventi.
Come ricorda George Santayana: “Chi non impara dalla storia sarà condannato a riviverla”. Cesare Beccaria, seguendo il modello di Rousseau, fu uno degli intellettuali illuministi a essere protagonista della lotta contro l’oscurità delle leggi, in quanto appoggiava l’idea che molto spesso si rivelassero poco obiettive e subissero diverse interpretazioni, favorendo gli abusi, la tirannia e le anomalie sociopolitiche.
In “Dei delitti e delle pene”, Beccaria parla di tortura e la pena di morte che, secondo l’autore non sono valide. Queso perché vengono meno ai principi del contratto sociale e, inoltre, non rispecchiano una giustizia verso la criminalità: è appropriato lasciare incertezza verso il giustiziato per il reato commesso, non dovrebbe essere giusto ucciderlo. La condanna giudiziaria deve essere utile per non ripetere l’azione, ma per l’uomo in vita, non morto. Il potere giudiziario deve essere da esempio per la rettitudine sociale, non individuale.
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