Luigi Ippolito (CorSera) spiega la pandemia in Inghilterra
Luigi Ippolito: “In Inghilterra gli scienziati hanno iniziato a studiare un vaccino già tra il gennaio e il febbraio del 2020”
Luigi Ippolito è un giornalista italiano, corrispondente da Londra per il Corriere della Sera. Ci ha spiegato come si è evoluta la gestione della pandemia da Covid-19 in Inghilterra, dai primi – disastrosi – sviluppi fino alla campagna vaccinale.
La pandemia in Inghilterra: un inizio disastroso, poi il Governo ha aggiustato il tiro. Cosa ha portato a questo cambio di rotta?
«Il cambio di rotta in Gran Bretagna è dovuto proprio all’inizio difficile. Qui è stato registrato il più alto numero di morti in Europa, l’impennata dei casi va riconosciuto anche tra dicembre e gennaio quando si è diffusa la variante inglese. Proprio all’inizio di gennaio il governo ha optato per un duro lockdown, in contemporanea con l’inizio della campagna vaccinale. Questo ha permesso di invertire completamente la tendenza, oggi siamo alla metà di aprile e l’Inghilterra è forse l’unico paese – assieme ad Israele – prossimo ad uscire dalla pandemia. Qui i decessi da Covid-19 sono quasi stati azzerati, mentre in Italia e in Europa la “terza ondata” miete ancora vittime».
Una campagna vaccinale così efficiente dipende soltanto dall’aver avuto la fortuna di possedere un vaccino prodotto internamente?
«Non si parla di fortuna, la Gran Bretagna si è mossa prima di tutti. Ad Oxford si sono messi a cercare una soluzione già tra il gennaio ed il febbraio 2020, cioè al momento delle primissime segnalazioni del virus dalla Cina. Il governo britannico ha finanziato la ricerca e investito su un qualcosa che avrebbe anche potuto non realizzarsi. Diciamo che hanno utilizzato una strategia alla Mario Draghi, “Whatever it takes”. Per questo si sono trovati in anticipo su tutti: mentre l’Europa ha cercato disperatamente di mercanteggiare con le case farmaceutiche, qui si sono lanciati a corpo morto su questa iniziativa. Hanno potuto poi approvare in autonomia i vaccini già ad inizio dicembre, iniziando a somministrare le dosi in massa a gennaio».
È proprio questa cooperazione tra Governo e cittadini che, qui in Italia, sta mancando?
«Assolutamente sì, qui la campagna di vaccinazione è in primo luogo centralizzata. È stato rigorosamente seguito l’ordine per fasce di età, senza categorie privilegiate. Soltanto gli operatori impegnati in prima linea – quindi non tutti – hanno avuto la precedenza. Questo ha significato l’immunizzazione degli anziani già a metà febbraio, che ha drasticamente ridotto ricoveri e decessi. Se nel momento peggiore della pandemia qui si registravano anche 1500 morti al giorno, oggi siamo nell’ordine di 30 o 40».
A che punto sono le restrizioni?
«C’è stata una prima importante riapertura lunedì 12 aprile, quando i negozi con servizio all’aperto hanno riaperto al pubblico. Almeno stando ai rapporti di questi primi giorni, non sembra che ci siano aumenti dei contagi».
In Inghilterra non c’è mai stato allarmismo per la questione AstraZeneca.
«No anzi, qui hanno continuato a ripetere che il vaccino è sicuro. Ci sono stati casi “sospetti” di trombosi, ma nell’ordine di uno su un milione. Dopo aver verificato una maggiore incidenza di queste trombosi tra i più giovani, gli esperti hanno deciso di sconsigliare la somministrazione del siero AstraZeneca agli under30, che quindi riceveranno Pfizer o Moderna. Ma se un trentenne non vuole attendere un vaccino diverso, può tranquillamente richiedere quello AstraZeneca».
Ad AstraZeneca può essere imputata la colpa di non aver forse mai fatto chiarezza su questa situazione? Ci sono state evidenti lacune nella comunicazione…
«Sicuramente c’è da dire che, fin dall’inizio, AstraZeneca ha avuto una comunicazione carente. Se ricordiamo i primi risultati ottenuti solo su casi parziali, la mancata sperimentazione sugli anziani – che non implica il non funzionare – ed altre situazioni… Hanno avuto molti inciampi di comunicazione, di certo non hanno fatto sufficiente chiarezza. Detto ciò, i risultati sul campo sono evidenti: in Inghilterra hanno vaccinato oltre 32 milioni di persone, di queste 18 milioni con il sietro AstraZeneca. I benefici surclassano i rischi. Se si passa da oltre mille decessi al giorno a meno di 50, vuol dire che i vaccini funzionano».
Per leggere la testimonianza di Claudia Fellus da Israele, clicca qui.
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